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to cominciai.
«Nemmeno l uscio suo proprio aveva unto il barbie-
re!» postilla qui di nuovo il Verri. E non ci voleva, certo,
la sua perspicacia per fare un osservazion simile; ci volle
l accecamento della passione per non farla, o la malizia
della passione per non farne conto, se, come è più natu-
rale, si presentò anche alla mente degli esaminatori.
L infelice inventava così a stento, e come per forza, e
solo quando era eccitato, e come punto dalle domande,
che non si saprebbe indovinare se quella promessa di
danari sia stata immaginata da lui, per dar qualche ra-
gione dell avere accettata una commission di quella sor-
te, o se gli fosse stata suggerita da un interrogazion
dell auditore, in quel tenebroso abboccamento. Lo stes-
so bisogna dire d un altra invenzione, con la quale,
nell esame, andò incontro indirettamente a un altra dif-
ficoltà, cioè come mai avesse potuto maneggiar
quell unto così mortale, senza riceverne danno. Gli do-
mandano se detto Barbiero disse a lui Constituto per qual
causa facesse ontare le dette porte et muraglie. Risponde:
lui non mi disse niente; m imagino bene che detto onto
fosse velenato, et potesse nocere alli corpi humani, poiché
la mattina seguente mi diede un aqua da bevere, dicendo-
mi che mi sarei preservato dal veleno di tal onto.
A tutte queste risposte, e ad altre d ugual valore, che
sarebbe lungo e inutile il riferire, gli esaminatori non
trovaron nulla da opporre, o per parlar più precisamen-
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Alessandro Manzoni - La storia della Colonna Infame
te, non opposero nulla. D una sola cosa credettero di
dover chiedere spiegazione: per qual causa non l ha potu-
to dire le altre volte.
Rispose: io non lo so, né so a che attribuire la causa, se
non a quella aqua che mi diede da bere; perché V.S. vede
bene che, per quanti tormenti ho hauuto, non ho potuto
dir niente.
Questa volta però, quegli uomini così facili a conten-
tarsi, non son contenti, e tornano a domandare: per qual
causa non ha detto questa verità prima di adesso, massime
sendo stato tormentato nella maniera che fu tormentato,
et sabbato et hieri.
Questa verità!
Risponde: io non l ho detta, perché non ho potuto, et
se io fossi stato cent anni sopra la corda, io non haueria
mai potuto dire cosa alcuna, perché non potevo parlare,
poiché quando m era dimandata qualche cosa di questo
particolare, mi fugiva dal cuore, et non poteuo rispondere.
Sentito questo, chiuser l esame, e rimandaron lo sventu-
rato in carcere.
Ma basta il chiamarlo sventurato?
A una tale interrogazione, la coscienza si confonde,
rifugge, vorrebbe dichiararsi incompetente; par quasi
un arroganza spietata, un ostentazion farisaica, il giudi-
car chi operava in tali angosce, e tra tali insidie. Ma co-
stretta a rispondere, la coscienza deve dire: fu anche col-
pevole; i patimenti e i terrori dell innocente sono una
gran cosa, hanno di gran virtù; ma non quella di mutar
la legge eterna, di far che la calunnia cessi d esser colpa.
E la compassione stessa, che vorrebbe pure scusare il
tormentato, si rivolta subito anch essa contro il calun-
niatore: ha sentito nominare un altro innocente; prevede
altri patimenti, altri terrori, forse altre simili colpe.
E gli uomini che crearon quell angosce, che tesero
quell insidie, ci parrà d averli scusati con dire: si credeva
all unzioni, e c era la tortura? Crediam pure anche noi
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Alessandro Manzoni - La storia della Colonna Infame
alla possibilità d uccider gli uomini col veleno; e cosa si
direbbe d un giudice che adducesse questo per argo-
mento d aver giustamente condannato un uomo come
avvelenatore? C è pure ancora la pena di morte; e cosa si
risponderebbe a uno che pretendesse con questo di giu-
stificar tutte le sentenze di morte? No; non c era la tor-
tura per il caso di Guglielmo Piazza: furono i giudici che
la vollero, che, per dir così, l inventarono in quel caso.
Se gli avesse ingannati, sarebbe stata loro colpa, perché
era opera loro; ma abbiam visto che non gl ingannò.
Mettiam pure che siano stati ingannati dalle parole del
Piazza nell ultimo esame, che abbian potuto credere un
fatto, esposto, spiegato, circostanziato in quella manie-
ra. Da che eran mosse quelle parole? come l avevano
avute? Con un mezzo, sull illegittimità del quale non do-
vevano ingannarsi, e non s ingannarono infatti, poiché
cercarono di nasconderlo e di travisarlo.
Se, per impossibile, tutto quello che venne dopo fosse
stato un concorso accidentale di cose le più atte a con-
fermar l inganno, la colpa rimarrebbe ancora a coloro
che gli avevano aperta la strada. Ma vedremo in vece che
tutto fu condotto da quella medesima loro volontà, la
quale, per mantener l inganno fino alla fine, dovette an-
cora eluder le leggi, come resistere all evidenza, farsi
gioco della probità, come indurirsi alla compassione.
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Alessandro Manzoni - La storia della Colonna Infame
CAP. 4
L auditore corse, con la sbirraglia, alla casa del Mora,
e lo trovarono in bottega. Ecco un altro reo che non
pensava a fuggire, né a nascondersi, benché il suo com-
plice fosse in prigione da quattro giorni. C era con lui
un suo figliuolo; e l auditore ordinò che fossero arrestati
tutt e due.
Il Verri, spogliando i libri parrocchiali di San Loren-
zo, trovò che l infelice barbiere poteva avere anche tre
figlie; una di quattordici anni, una di dodici, una che
aveva appena finiti i sei. Ed è bello il vedere un uomo
ricco, nobile, celebre, in carica, prendersi questa cura di
scavar le memorie d una famiglia povera, oscura, dimen-
ticata: che dico? infame; e in mezzo a una posterità, ere-
de cieca e tenace della stolta esecrazione degli avi, cercar
nuovi oggetti a una compassion generosa e sapiente.
Certo, non è cosa ragionevole l opporre la compassione
alla giustizia, la quale deve punire anche quando è co-
stretta a compiangere, e non sarebbe giustizia se volesse
condonar le pene de colpevoli al dolore degl innocenti.
Ma contro la violenza e la frode, la compassione è una
ragione anch essa. E se non fossero state che quelle pri-
me angosce d una moglie e d una madre, quella rivela-
zione d un così nuovo spavento, e d un così nuovo cor-
doglio a bambine che vedevano metter le mani addosso
al loro padre, al fratello, legarli, trattarli come scellerati;
sarebbe un carico terribile contro coloro, i quali non
avevano dalla giustizia il dovere, e nemmeno dalla legge
il permesso di venire a ciò.
Ché, anche per procedere alla cattura, ci volevano na-
turalmente degl indizi. E qui non c era né fama, né fuga,
né querela d un offeso, né accusa di persona degna di fe-
de, né deposizion di testimoni; non c era alcun corpo di
delitto; non c era altro che il detto d un supposto com-
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plice. E perché un detto tale, che non aveva per sé valor
di sorte alcuna, potesse dare al giudice la facoltà di pro-
cedere, eran necessarie molte condizioni. Più d una es-
senziale, avremo occasion di vedere che non fu osserva-
ta; e si potrebbe facilmente dimostrarlo di molt altre.
Ma non ce n è bisogno; perché, quand anche fossero
state adempite tutte a un puntino, c era in questo caso
una circostanza che rendeva l accusa radicalmente e in-
sanabilmente nulla: l essere stata fatta in conseguenza
d una promessa d impunità. «A chi rivela per la speran-
za dell impunità, o concessa dalla legge, o promessa dal
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