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- Cioè? -
- Non insista. Desidera altro? -
- Prende un bicchiere di vermut? -
- Grazie. Poi devo andare. - Aprì l'armadio, prese la bottiglia e mi porse il
bicchiere.
- Il bicchiere è per lei - dissi. - Io posso bere dalla bottiglia. -
- Eccole la sua bottiglia. -
- E che cosa racconta Miss Van Campen, che dormo troppo la mattina? -
- Ha brontolato per questo. La chiama il nostro ferito privilegiato. -
- Vada all'inferno! -
- Non è cattiva - disse Miss Gage. - E' soltanto vecchia, e d'umore difficile.
Lei non le è mai stato simpatico - .
- Lo so. -
- Bene. A me invece sì. E mi sento sua amica. Non lo dimentichi. -
- Lei è straordinariamente buona. Una cara amica. -
- No. E' un'altra che è cara, ma io le sono amica. Come va la gamba? -
- Bene. -
- Le porterò dell'acqua minerale ghiacciata, perchè possa rinfrescarla.
Deve prudere molto sotto l'ingessatura. E' una giornata caldissima fuori. -
- E' veramente gentile, Miss Gage. -
- Pizzica molto ? -
- No. Va bene. -
- Fermerò meglio questi sacchetti. - Si piegò a fissarli. - Per lei ho una
sincera amicizia. -
- Lo so. -
- No che non lo sa. Ma finirà col saperlo. -
Catherine saltò tre turni di notte, e poi ritornò. Fu come ritrovarci dopo un
lungo viaggio.
17.
Quell'estate fu straordinariamente bella per noi. Il primo giorno che potei
uscire, andammo al Parco in carrozza: ricordo com'era la carrozza, il
cavallo che trottava adagio, e la schiena del vetturino col cilindro lucido e
Catherine Barkley seduta accanto a me. Se la mia mano sfiorava la sua,
bastava a non lasciarci tranquilli. Poi mi riuscì di camminare con le grucce,
e si andava a pranzo insieme, al Biffi o al Grande Italia. Ci piaceva star
fuori, in Galleria: i camerieri andavano e venivano intorno a noi, una
fiumana di gente ci scorreva davanti, ogni tavolo aveva la sua lampada col
piccolo paralume e, quando ci fissammo al Grande Italia, Giorgio, il capo
cameriere, ci riservò un tavolino; era un ottimo cameriere. Pensava lui al
pranzo mentre guardavamo il fiume nella grande Galleria in penombra, e
ci si guardava tra noi. Bevevamo del Capri bianco secco, in ghiaccio nel
suo secchiello; ma provammo altri vini dal Freisa al Barbera, al bianco
dolce. Per via della guerra non c'era cantiniere, e Giorgio sorrideva un po'
mortificato quando gli domandavo vini come il Freisa.
- Pensi un po', un paese che fa un vino solo perchè sa di fragola. -
- E perchè no? - rispose Catherine. - A me pare un'idea magnifica. -
- Lo provi pure, signora, se crede. Ma lasci che al tenente io porti una
mezza bottiglia di Margaux. -
- Voglio provarlo anch'io, Giorgio, questo Freisa. -
- Non posso raccomandarglielo, Tenente. Non sa nemmeno di fragola. -
- Forse saprà veramente di fragola - disse Catherine.
- Sarebbe bellissimo. -
- Porterò il Freisa - disse Giorgio. - Ma quando la signora non lo vorrà più,
lo riprenderò. -
Davvero quel Freisa, non aveva molto a che fare col vino e Giorgio aveva
ragione: non sapeva nemmeno di fragola. Tornammo al Capri. Una sera
che non avevo soldi, Giorgio mi prestò cento lire.
- Ma certo,
- Tenente - disse. - So come succede. Lo so bene, che uno può restare a
corto. Se lei o la signora hanno bisogno io sono sempre qui. -
Dopo pranzo passeggiavamo in Galleria, lungo i negozi chiusi con le
saracinesche abbassate, e ci fermavamo nella piazzetta dove vendevano
panini con prosciutto e lattuga e panini con le acciughe, fatti di rotolini di
pane dorato sottili, lunghi un dito. Li mangiavamo di notte, quando
avevamo fame. Per tornare all'ospedale prendevamo una carrozza appena
fuori della Galleria, davanti al Duomo; quando si arrivava il portiere
usciva per aiutarmi a scendere. Pagavo la carrozza e andavamo su in
ascensore, Catherine si fermava al primo piano, dove erano le stanze delle
infermiere, io continuavo a salire e poi camminavo sulle grucce fino alla
mia camera. Qualche volta mi spogliavo subito e andavo a letto; altre volte
mi sedevo fuori, sul balcone, con la gamba su una sedia, a guardare le
rondini mentre aspettavo Catherine.
Quando veniva era come se fosse stata via molto tempo, e l'accompagnavo
per l'anticamera portando anch'io le bacinelle, stavo ad aspettarla fuori
dalle stanze, oppure entravo con lei; dipendeva se ci fossero o no degli
amici. E quando aveva finito il suo lavoro ci si sedeva insieme sul balcone.
Andavo a letto, e quando tutti dormivano e lei era sicura che non potevano
chiamarla, veniva da me. Mi piaceva di scioglierle i capelli mentre restava
seduta sul letto, immobile se non quando si piegava improvvisamente a
baciarmi e io le toglievo le forcine e le mettevo in fila sul lenzuolo, e le si
scioglievano i capelli, io la guardavo star ferma; toglievo le ultime forcine,
i capelli precipitavano tutt'intorno, lei piegava la testa e ci si trovava
entrambi entro i suoi capelli come avvolti da una tenda, o in un riparo
dietro una cascata; erano capelli meravigliosi e mi piaceva star sdraiato a
guardarla mentre li intrecciava, nella luce che entrava dal vano della porta;
ma brillavano anche al buio, come brilla l'acqua prima che sia giorno. Era [ Pobierz całość w formacie PDF ]

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